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Un approccio, un metodo, una modalità di lavoro, un’idea: il Design Thinking è questo ed è anche molto altro.


Un viaggio a tappe, che ci porterà a conoscere meglio qualcosa di cui sentiamo parlare da tempo, qualcosa con cui abbiamo già a che fare, qualcosa che ci tocca e ci circonda.

PRIMA TAPPA: Dal Mercato ATTUALE, al Mercato POSSIBILE.

di Salvatore Vicari


Un approccio, un metodo, una modalità di lavoro, un’idea: il Design Thinking è questo ed è anche molto altro. E per iniziare a conoscerlo la cosa migliore è parlarne con chi conosce la materia, con chi la conosce per davvero: il prof. Salvio Vicari, Fondatore della Valdani Vicari e Associati e Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese all’Università Bocconi.


Il Design Thinking è un approccio che nasce da una consapevolezza, una consapevolezza ormai comune a tutti: per un’azienda, agire e pianificare sul mercato così come si presenta oggi è limitante e controproducente. Questo perché il mercato cambia e cambia con grande rapidità: ignorare questa cosa equivale a provare a guidare un’auto guardando solo nello specchietto retrovisore. Se la strada è sempre dritta e non ci sono altre macchine può anche andarci bene, ma alla prima curva o al primo ostacolo andiamo a sbattere e ci facciamo male”.


E quindi, occorre tenere gli occhi sulla strada che verrà.

Non bisogna più guardare a “quello che è”, ma a “quello che potrebbe essere.

Bisogna imparare a passare dal Mercato ATTUALE al Mercato POSSIBILE.

Ecco cos’è il Design Thinking: è un modo diverso di fare le cose”.


Il passaggio non è immediato e semplice, perché a cambiare è la logica di fondo.

Il mercatoconosciuto è un mercato che è stato studiato e compreso dopo una serie di analisi: è qualcosa di certo. Il mercatopossibile invece va immaginato: e va immaginato con una logica sperimentale, esattamente come fanno gli scienziati quando operano in un contesto non noto e procedono per esperimenti. Questo approccio abbandona, per forza di cose, le logiche tranquillizzanti del flusso tradizionale “analizzo-comprendo-decido”. E abbandona queste logiche per passare a una esperienza completamente soggettiva, fatta di una realtà immaginata e costruita, per un flusso che diventa “ipotizzo, sperimento, realizzo”. L’approccio del designer, insomma.


E la particolarità di questo aspetto la si comprende anche dal suo nome, “Design Thinking”: che non è stato certo scelto per caso”.

Approccio tradizionale VS Approccio Design Thinking I Salvatore Vicari

Rispetto agli approcci più tradizionali, il Design Thinking presenta una serie di differenze.

Da un lato ci si basa su modelli astratti, dall’altro ci si affida all’insight emozionale e agli esperimenti. Da un lato c’è un fortissimo disagio di fronte all’incertezza che è vista come generatrice di ansia e dispensatrice di Tavor, dall’altro c’è un mondo in cui l’incertezza è la linfa e le troppe regole sono viste come il fumo negli occhi. Da un lato c’è una divisione netta tra il quadro particolare e il quadro generale, dall’altro invece un passaggio continuo e costante da generale a particolare e viceversa. La cosa certa è che questo modello funziona molto bene nella situazione attuale, caratterizzata da cambiamenti rapidi e continui: è un modo diverso di pensare, un modo diverso di agire”.


Un po’ di pratica? 

Tante realtà – dice Vicari – stanno utilizzando questo approccio e anche noi in VVA lo adottiamo per aiutare le aziende ad Innovare: a innovare prodotti, servizi, processi, strutture organizzative, business model. Le tecniche di applicazione sono diverse e particolari, in questa sede possiamo citarle brevemente”.


Prego. 

Il primo step è la base di partenza: bisogna porsi la domanda “Qual è la situazione in cui ci troviamo?”. Il passo successivo è porsi invece la domanda “E cosa succederebbe se provassi a cambiare?”. Ed ecco che qui entra in scena l’approccio da designer, che non si limita mai a una sola opzione ma ne pensa tante. Una volta stabilite le opzioni, la domanda da farsi è “E quale tra queste mi piace di più?”: così facendo si restringe sempre più il campo. L’ultimo step è la domanda “Cosa funziona, cosa invece non va?”: e questa domanda deve avere una risposta concreta e reale. Questa è la sperimentazione, che procede tipicamente facendo un passo alla volta”.


Step by step: ecco una caratteristica fondamentale di questo approccio. 

Si procede lentamente, piano piano: esattamente come si fa quando si cammina su un terreno inesplorato. Ogni passo avanti è un feedback, ogni volta ci si chiede se andare avanti o se modificare il percorso: e la cosa si può fare proprio perché non si sta andando di corsa. Ogni passo è calibrato, non si investe subito tutto il budget a disposizione ma lo si centellina, lo si usa man mano che si procede”.


E chiudiamo così, con le classiche raccomandazioni finali:

La prima: bisogna uscire dalla “confort zone” prima che sia troppo tardi. E’ necessario decidere di prendersi un piccolo rischio finché si è in tempo, per evitare poi di doversi prendere un rischio enorme più avanti. Bisogna avere coraggio. E soprattutto, la sperimentazione lo insegna, non bisogna aver paura dell’errore. Anzi: l’errore è parte integrante di questo processo”.


a cura di Francesco Caielli


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